03-12-2018

Tutti diversi, tutti uguali

diversity

Le assunzioni delle persone appartenenti a categorie protette si collocano in una tematica più ampia, in cui le differenze di vario genere fra lavoratori, lungi dall’essere un peso, rappresentano per le aziende una grande opportunità di miglioramento. 

Come far capire che la diversità è un’opportunità? Come tutelare determinate categorie di lavoratori evitando che la tutela si trasformi in ghettizzazione? È quello che si chiede chi si occupa di diversità in ambito lavorativo, nelle aziende e in tutte le strutture preposte a creare occupazione. 


La legge 68 del 1999 sul collocamento mirato prevede che le aziende con più di 15 dipendenti debbano assumere un certo numero di persone con invalidità o appartenenti ad altre categorie protette. L’Italia è l’unico Paese europeo in cui esiste una norma di questo tipo. Ma quello che di primo acchito potrebbe sembrare un primato positivo, a ben vedere può essere letto come un segnale di arretratezza culturale. Lo sostiene Elena Belloni, Diversity Talent Specialist di Openjobmetis: «In Italia abbiamo bisogno di un obbligo di legge per fare qualcosa che altrove è normale. In altri Paesi, per assumere si guarda esclusivamente alle competenze dei candidati, senza farsi influenzare da altre caratteristiche personali. Da noi, invece, esiste ancora un pregiudizio culturale per cui la diversità viene identificata con la disabilità fisica, e la disabilità fisica viene percepita come un peso per l’azienda. Ma la diversità, intesa in senso lato, può solo far bene a un’azienda».

Un “mosaico” che avvantaggia tutti
La società – sempre più multietnica, sfaccettata, interconnessa – suggerirebbe un concetto di diversità che non è la distinzione fra normali e diversi, fra maggioranza e minoranze, fra fortunati e svantaggiati, ma semplicemente un insieme eterogeneo di persone, ciascuna delle quali è affine o diversa da ciascuna delle altre sotto vari aspetti. Tutti diversi, tutti uguali, insomma. Questo mosaico è un vantaggio per l’azienda: la ricchezza di esperienze e punti di vista aiuterà a trovare soluzioni nuove e più efficaci, più in linea con un la clientela che di solito è molto più composita (come estrazione culturale, provenienza geografica, appartenenza di genere) dei gruppi di persone che prendono le decisioni nei luoghi di lavoro. 

Lenti progressi
Come le aziende recepiscono questi cambiamenti? A rispondere è sempre Elena Belloni: «Le cose stanno migliorando, ma non abbastanza velocemente. In passato c’erano aziende che preferivano pagare le multe anziché assumere risorse appartenenti a categorie protette, oppure suggerivano di assumere le categorie protette in posizioni a bassissima professionalità. Oggi molte aziende si sono dotate di un diversity manager per gestire al meglio questa tematica, e si susseguono i convegni in cui vengono presentate buone pratiche ed esperienze di successo. Però ho l’impressione che le aziende virtuose siano sempre le stesse. E in fondo vale il medesimo discorso fatto per la legge 68: finché ci sarà bisogno di convegni per promuovere questi comportamenti, vorrà dire che non ci siamo ancora abituati a ritenerli normali».

Il ruolo di Openjobmetis
Come affronta Openjobmetis il tema della diversità? «Forniamo alle aziende essenzialmente due tipi di supporto: il primo di natura tecnica, il secondo nel merito – spiega ancora Elena Belloni –. Da un punto di vista tecnico, aiutiamo le aziende a districarsi nelle questioni burocratiche, informandole sulle varie opzioni e opportunità a loro disposizione. Si possono ad esempio stipulare delle convenzioni con la provincia di competenza per concordare un inserimento progressivo delle categorie protette, mentre le aziende con sedi in città diverse possono distribuire le risorse assunte ex legge 68 in modo disomogeneo fra province, purché il numero totale sia quello dovuto». Ed entrando nel merito? «Da alcuni anni stiamo favorendo un cambio di approccio: non partiamo più dalle caratteristiche della risorsa “diversa” da collocare, ma chiediamo all’azienda di quali profili professionali ha bisogno». 
Importanti, poi, gli aspetti del reclutamento e della selezione: «Avvengono attraverso i consueti canali, ma in più abbiamo stipulato delle convenzioni con fondazioni oppure con associazioni di categoria, come ad esempio quella degli invalidi civili o quelle che rappresentano le persone affette da determinate patologie. Abbiamo avviato anche collaborazioni con ospedali, in modo da individuare i giusti candidati attraverso colloqui con i medici che li hanno in cura o direttamente con le persone interessate». 
Il lavoro di Openjobmetis non si conclude però nel momento dell’assunzione. «Restiamo in contatto con le persone selezionate, verificando per esempio che il loro luogo di lavoro non presenti barriere architettoniche e che la loro postazione sia adeguata – conclude Elena Belloni –. Non è un caso che si chiami collocamento mirato: il processo di assunzione si traduce in un accompagnamento particolarmente personalizzato, e la soddisfazione del datore di lavoro e dell’assunto dipendono dalla cura di ogni dettaglio».