Milano-Londra e ritorno
Giulia Moratti, responsabile Compliance e Risk di Fabrick - Open Banking - Gruppo Sella, ha trovato il suo attuale lavoro grazie a un annuncio di Meritocracy. Il racconto della sua esperienza professionale fra Italia ed estero è lo spunto per una riflessione a 360° sul mondo del lavoro, dall’employer branding al rapporto fra giovani e aziende.
Taluni affermati professionisti dicono che la progettualità è il timone di una carriera. La mia carriera ha invece seguito un percorso in parte alternativo e variegato, direttamente proporzionale alla passione e alla capacità di cogliere le interessanti opportunità che di volta in volta mi sono state offerte. Dopo essermi laureata a Pisa in giurisprudenza, nel 2012, ho iniziato a lavorare presso un paio di studi legali strutturati di Milano, dove ho acquisito esperienza nel fornire consulenza legale in ambito Corporate e Financial Markets. Dopo alcuni anni in private practice, mi sono trasferita a Londra dove ho frequentato un Master in Law presso la London School of Economics and Political Science e, successivamente, ho iniziato a lavorare presso la General Counsel Division della Financial Conduct Authority che, in sostanza, è il corrispettivo inglese della Consob. È seguita un’esperienza come Vice President - Senior Transaction Manager presso la sede di Londra della Bank of New York, dove ero responsabile della gestione di complesse operazioni di capital markets e corporate finance, dalla strutturazione al post-closing delle stesse. Amavo il mio lavoro a Londra ma, essendoci andata quando ero già sposata, ero già partita con l’idea di fare una (possibilmente intensa) esperienza a termine e di tornare in Italia non appena avessi trovato un’opportunità per cui davvero ne fosse valsa la pena.
Anche grazie a Meritocracy, l’opportunità che rispondeva alle mie esigenze non ha tardato ad arrivare. Ricordo di aver fatto una ricerca sul web e di essere rimasta subito colpita da un annuncio che era diverso dagli standard italiani. Non mi esaltava l’idea di tornare in un contesto “ingessato” e quell’annuncio mi ha trasmesso l’impressione di un ambiente lavorativo informale e dinamico, proprio come lo cercavo. Mi è sembrato tutto molto attractive: la descrizione del job profile era stata accuratamente redatta, inoltre ho trovato di effetto le foto e i video di quelli che poi sarebbero diventati i miei colleghi. Nei loro occhi ho visto entusiasmo e mi è subito venuta voglia di far parte di quel team. Credo che puntare sull’employer branding, girando video in cui i protagonisti sono le persone che lavorano nell’azienda, sia molto utile. Chi può dare la giusta idea di un lavoro – mostrando i pro ma anche i contro, per non creare aspettative sbagliate – meglio di chi lo svolge?
Milano, my love
Ho vissuto benissimo il mio ritorno in Italia. Il primo lato positivo di Milano? Mio marito, i miei amici storici e il poter andare a trovare la mia famiglia di origine in un paio di ore, senza essere schiava degli aerei! Ma anche la città ha i suoi punti di forza. Non da ultimo, i rapporti si mantengono molto più facilmente. Talvolta Londra può dare l’impressione di essere un porto di mare: oggi ci sei, domani (probabilmente) no. Molti la percepiscono come una città da vivere nel breve-medio termine, generalmente per sviluppare ulteriori expertise e/o venire in contatto con culture anche molto diverse tra loro. Al contrario, a mio giudizio, Milano è una città in cui è più facile immaginare di trascorrere un (quantomeno) significativo tratto della propria vita: le relazioni sono più stabili e lo stile di vita è in generale considerato migliore.
A ciò si aggiunga il fatto che la Milano di oggi è certamente una città stimolante, in cui le attività non mancano. Anche sul fronte lavorativo, il mercato sembra essere in costante via di sviluppo, specie nell’ambito in cui lavoro io, il Fintech. Stanno nascendo delle realtà e delle idee molto interessanti. Per chi desidera mettersi alla prova, Milano è, in questo momento, il luogo giusto. Grazie a modalità di lavoro più fluide, ai coworking e al crowdfunding, rispetto ad alcuni anni fa è molto più facile mettere a terra un’idea anche autonomamente e fuori da un contesto strutturato.
London calling
Ci sono, tuttavia, degli aspetti su cui Milano non è paragonabile a Londra. Dal punto di vista delle opportunità lavorative, per esempio, il rapporto tra offerta e domanda è molto più favorevole nella capitale britannica, dove capita spesso che la prima superi la seconda. Inoltre, quantomeno sulla base degli ambienti di lavoro che ho frequentato a Londra, ho avuto l’impressione che vengano maggiormente premiate le effettive skills dei professionisti – insomma, che si dia più peso alla famosa meritocracy! – mentre in Italia capita spesso che le remunerazioni e gli avanzamenti di carriera siano allineati e definiti prevalentemente sulla base del numero di ore spese in ufficio e degli anni di anzianità.
L’erba del vicino
Io sono molto soddisfatta della mia esperienza all’estero e credo che trascorrere un periodo lavorativo al di fuori del proprio paese sia sempre un’occasione di crescita e di confronto con se stessi. A me, fra l’altro, ha permesso di avere la conferma che il sistema formativo italiano è eccellente: siamo percepiti come persone estremamente preparate, con un knowledge molto più vasto e meno verticale rispetto agli stranieri, anche se spesso ci manca l’approccio pratico.
Ciò detto, non sempre l’andare all’estero si dimostra una scelta risolutiva per la propria carriera. E, in alcuni casi, la decisione di espatriare dipende solo da mancanza di informazione: invero, a parte qualche illustre eccezione, i percorsi post laurea di sviluppo professionale delle università italiane sono abbastanza scarni. Ciò determina frustrazione e porta a convincersi che l’erba del vicino sia più verde, cosa che non sempre corrisponde al vero.
Wish list
Al di là dei riconoscimenti economici, i giovani dalle aziende cercano stimoli. Certo, in un ufficio può capitare che soprattutto agli ultimi arrivati vengano talvolta assegnati compiti ingrati (le famose “fotocopie”) ma questo dev’essere bilanciato dalla disponibilità di chi ha più esperienza a dedicare il giusto tempo alla formazione dei più giovani. Le aziende devono trasmettere fiducia e trasparenza: è molto importante che facciano periodicamente capire ai dipendenti fin dove possono arrivare e come arrivarci.
Inoltre, dall’ambiente lavorativo i giovani si aspettano poca gerarchia e un gruppo con dinamiche aperte. Inevitabilmente ci dev’essere un team leader ma ad ogni membro del team deve essere data la possibilità di apportare il proprio contributo e il gruppo dev’essere pronto ad accettare maniere di lavorare diverse da quelle a cui è abituato.
Negli ultimi anni si è sviluppato anche in Italia l’approccio di matrice americana per cui è normale cambiare lavoro varie volte nella vita. Nel lavoro si cerca sempre un giusto equilibrio fra la stabilità e il sentirsi vivi. Fra il restare a lungo nello stesso posto e il cambiare spesso non c’è una scelta più giusta in assoluto. Dipende dalle circostanze.
Di fronte a un giovane che vuole cambiare lavoro, un’azienda dovrebbe interrogarsi sul perché. Se non è realmente motivato perché non condivide gli stessi valori dell’azienda, non ha senso trattenerlo. Se il giovane non mostra amore verso quello che è chiamato a fare, un bravo leader dovrebbe cercare di capirne le motivazioni e, se possibile, l’azienda dovrebbe cercare di affidargli compiti in grado di valorizzare al meglio le sue potenzialità. Se si tratta di una questione economica, va valutata l’opportunità di concedergli un aumento proporzionale al valore che apporta. Ma, forse, il vero obiettivo delle aziende dovrebbe essere quello di non mettere i giovani in condizione di desiderare un cambiamento, perché essere arrivati a quel punto vuol dire aver già maturato una forte insoddisfazione. A tutto quanto precede, fa eccezione il (ben più raro) caso in cui la voglia di cambiare dipende semplicemente dall’indole curiosa del giovane (il voler saggiare qualcosa di ignoto): in questo caso sarà più difficile trattenerlo dal cambiamento ma, forse, può valere la pena che l’azienda faccia uno sforzo in tal senso perché i ragazzi animati da grande curiosità sono molto spesso coloro che varrebbe davvero la pena di trattenere!