Se il mondo del lavoro cambia, e con lui anche noi, deve cambiare anche l’approccio all’istruzione e all’aggiornamento professionale. Un’azienda propone un modello evoluto, basato su psicologia e neuroscienze, affiancando aziende e manager nelle loro sfide più attuali.
Siamo abituati a pensare che l’innovazione riguardi principalmente la tecnologia e, più in generale, le conoscenze scientifiche. In realtà non è così. È vero, piuttosto, che proprio il progresso tecnologico determina dei cambiamenti profondi nelle nostre abitudini, nelle nostre attitudini e nel nostro stesso modo di pensare. E questi cambiamenti – relativi ad aspetti metodologici, culturali e psicologici – richiedono di essere affrontati in modo innovativo. Se a ciò aggiungiamo che, come è sotto gli occhi di tutti, il mondo del lavoro sta cambiando forma a velocità vertiginosa, risulta chiaro che la formazione è uno di quegli ambiti che più di altri ha bisogno di modelli innovativi.
Cambiare le abitudini
HC (http://www.hu-co.it/), società di formazione nata 12 anni fa e recentemente entrata nella galassia Openjobmetis, affronta le esigenze di cambiamento delle aziende e dei loro manager con approcci diversi da quelli tradizionali. «Intercettiamo il cambiamento all’interno delle aziende, occupandoci in particolare dell’‘ultimo miglio’ del change management – spiega Gian Maria Zapelli, presidente e fondatore di HC –. Questo significa tradurre i traguardi di cambiamento che le aziende hanno disegnato in comportamenti di chi le compone».
I comportamenti, a loro volta hanno a che fare con le abitudini. HC ricorre spesso alla categoria delle abitudini, preferendola a concetti più frequenti in ambito formativo come capacità e competenze. «Le neuroscienze ci dicono che ogni comportamento umano è radicato neurologicamente in processi biologici – sostiene Zapelli –. Quindi produrre un cambiamento significa cambiare delle abitudini che sono radicate nella mente. Per noi la questione non è, ad esempio, aiutare un manager ad acquisire più leadership, ma aiutarlo ad acquisire quelle abitudini che lo rendono leader in alcune situazioni in cui non riesce a esserlo abbastanza».
Proprio la leadership è una delle aree in cui HC offre il proprio contributo alle aziende («La leadership è cambiata molto negli ultimi anni: è un comportamento che evolve costantemente, perché è culturale, non solo psicologico” prosegue Zapelli), insieme al talento, all’efficienza e all’engagement, cioè alla motivazione dei dipendenti, per esempio di fronte a ristrutturazioni aziendali.
Al centro c’è il partecipante
Anche le metodologie di formazione si devono adeguare ai cambiamenti intervenuti negli ultimi anni in molti ambiti, iniziando dal modo in cui funziona il nostro cervello. «Pensiamo ad esempio alla capacità di concentrazione delle persone – spiega ancora Gian Maria Zapelli –. Oggi è improponibile immaginare di tenere qualcuno chiuso in un corso di formazione per quattro giorni di seguito». HC sostituisce la tradizionale formazione, basata sulla centralità del trainer e con i contenuti preparati in anticipo da altri, con un nuovo schema, al cui centro stanno i partecipanti.
Oltre alla formazione di gruppo, HC lavora individualmente con le persone attraverso il coaching, anche in remoto, grazie alla partnership con una società di digital learning che le permette di essere l’unico soggetto in Italia a svolgere attività di e-coaching.
Un manager “smart”, digitale ed empatico
Ma in cosa i manager di oggi hanno maggiormente bisogno di essere aiutati? Qui entrano in gioco i cambiamenti nel mondo del lavoro cui si accennava prima. «Con la crescita dello smart working, diventa importantissima la capacità di responsabilizzazione dei manager, cioè la capacità di comprendere la cosa giusta da fare. Con le aziende che stanno perdendo i propri confini, sia fisici che temporali, siamo passati da un comportamento esecutivo, in cui qualcuno ti diceva esattamente cosa fare, a un comportamento in cui è la stessa persona a doversi chiedere cosa fare per poi agire di conseguenza». Un discorso analogo si può fare sull’employability, concetto ampio che ha a che fare, tra l’altro, con la capacità di una persona di adeguarsi al proprio ambito lavorativo e di migliorarsi in autonomia.
Ma, in conclusione, quali sono il background e la forma mentis più adatti per chi fa il manager? In un’epoca dominata dal digitale e dalle nuove tecnologie, la risposta di Gian Maria Zapelli è sorprendente: «Indipendentemente dal loro percorso di studio, molti dei manager che conosco hanno inserito nella propria cultura la lettura di almeno qualche romanzo. La sensibilità verso temi che riguardano il cuore delle persone, i loro sentimenti e il modo in cui le persone effettuano le loro scelte, è un ingrediente importante per chi governa un’azienda».