Viviamo più a lungo, facciamo sempre meno figli e restiamo al lavoro ben oltre i 60 anni. Il Paese sta invecchiando, ma le conseguenze non sono necessariamente negative: la partecipazione al lavoro è stabile e alcune aziende si stanno attrezzando per supportare i dipendenti più senior. Con il sostegno delle agenzie per il lavoro.
Numeri inequivocabili
Siamo un po’ di meno di qualche anno fa, quindi, e siamo sempre più anziani, a conferma di una tendenza in atto in tutta Europa. Nel 2019, sempre secondo le elaborazioni basate su dati Istat, l’Italia ha visto impennarsi il proprio indice di vecchiaia - il rapporto tra over 65 e giovani inferiori ai 15 anni di età - salito a 173,1, quasi 30 punti in più rispetto a dieci anni prima. In pratica, ci sono 173 anziani ogni 100 giovani.
Siamo in tanti a ricordare quel romanzo del 2005 di Cormac McCarthy, da cui è stato tratto anche un film di successo un paio di anni dopo: Non è un paese per vecchi. Basterebbe togliere quel “non” iniziale per avere un titolo in grado di riassumere alla perfezione l’attuale situazione demografica italiana.
Il trend, infatti, sembra essere inequivocabile ed è ben fotografato da un visibile calo delle nascite: nel 2019 è stato registrato il punto più basso di “ricambio” naturale con 435 mila nati e 647 mila decessi, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, con una popolazione in calo di 116mila unità.
Una situazione confermata anche dall’indice di ricambio della popolazione attiva - il rapporto tra la fascia di popolazione che sta per andare in pensione (60-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-19 anni) - che ha toccato quota 132,8 e dall’indice di struttura della popolazione attiva - il rapporto percentuale tra la parte di popolazione in età lavorativa più anziana (40-64 anni) e quella più giovane (15-39 anni): il dato italiano è 138,8, ovvero 138 anziani ogni 100 giovani.
Insomma, parafrasando libro e film, siamo un paese per vecchi. Il che non deve essere necessariamente letto in maniera negativa: grazie anche a uno stile di vita sano, al progresso e alla scienza, l’aspettativa è in costante aumento (80,9 anni per gli uomini e 85,2 anni per le donne). Viviamo di più e meglio. Ma facciamo meno figli. Il risultato? Se dovessero confermarsi le previsioni della Word Bank, la Banca Mondiale, nel 2050 il 35,1% di italiani sarebbe costituito da anziani, con un impatto importante in diversi ambiti. Non ultimo, quello lavorativo. Ma anche in questo caso, non c’è da preoccuparsi. Almeno per ora.
Anziani al lavoro? Non è per forza un male
Proprio di questo ha parlato, qualche mese fa, l’autorevole quotidiano statunitense Wall Street Journal, sottolineando come, nelle maggiori economie sviluppate - Italia, Germania e Giappone in testa - gli over 60 saranno la corte demografica più rappresentata, anche nel mondo del lavoro (non dimentichiamoci dell’allungamento della vita lavorativa). E questo, anche se sembra strano, è positivo per la crescita economica. Una ricerca realizzata dall’Ocse, l’organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico, mette infatti in evidenza come questo fenomeno stia mitigando gli effetti economici negativi dovuti al calo delle nascite. In media, nei Paesi Ocse, quelli più sviluppati, il 15,3% degli over 65 lavora. Se così non fosse, oggi lavorerebbero meno persone di 30 anni fa e un paese come l’Italia, secondo l’economista Mark Keese, avrebbe perso un milione di lavoratori, con danni anche per i conti pubblici, se la percentuale di over 55 al lavoro fosse la stessa del 1991,
Riassumendo, quindi: viviamo di più e andiamo in pensione più tardi (proporzionalmente all’aumento dell’aspettativa di vita). Il quadro è questo. Basta attrezzarsi.
Le aziende si muovono
È quello che stanno facendo numerose aziende. Secondo il Financial Times, la nota casa automobilistica tedesca BMW ha aumentato la produttività del 7% (e, contemporaneamente, ha visto l’assenteismo scendere notevolmente) dal momento in cui ha dato vita a una linea di produzione per lavoratori qualificati over 50.
Altro esempio è quello di Goldman Sachs, nota banca d’affari statunitense, che ha messo a punto un programma di formazione e mentoring rivolto a lavoratori senior: la metà circa delle 350 persone che lo ha completato è entrata in azienda.
E poi ci sono anche imprese nate con l’obiettivo preciso di offrire una possibilità ai senior che sono fuoriusciti dal mercato del lavoro: un esempio è Mr.Kelp, una piccola azienda toscana specializzata nel settore dei multiservizi, che ha deciso di assumere solo cinquantenni disoccupati.
Molte aziende si sono mosse, quindi, e altre lo faranno in futuro. In questo scenario, anche le agenzie per il lavoro giocano un ruolo centrale per supportare le imprese e accompagnare i lavoratori nel percorso di reinserimento o riqualificazione. Come fa la divisione Diversity Talent di Openjobmetis, specializzata nel ricollocamento del personale in mobilità, in cassa integrazione e over 45.